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giovedì 6 febbraio 2014

CIO' CHE CONTA E' METTERCELA TUTTA

Ho incontrato di recente – come si dice: meglio tardi che mai – Romain Gary attraverso un suo piccolo capolavoro La vita davanti a sé. In vero è stata la mia amica Daniela a presentarmelo.
Era da tempo che non mi capitava di stupirmi, incantarmi, commuovermi e divertirmi con un romanzo scritto mirabilmente. Essendomi del tutto sconosciuto non sapevo cosa aspettarmi, non avevo letto neanche i risvolti di copertina, invece l’ho terminato con il desiderio che non terminasse e l’esaltazione della scoperta. Della bella scoperta.
Quindi ho iniziato un altro dei suoi romanzi La promessa dell’alba, tutt’altro genere, autobiografico, sempre bella scrittura però. E oggi, nella sala d’aspetto del dentista, ho trovato esplicato, nelle sue pagine, un pensiero che medito da tempo: la consapevolezza dell’imperfezione. O semplicemente, crudamente la Consapevolezza. Che se non aiuta a vivere bene di certo preserva dal ridicolo e dalle cocenti delusioni.

Enrico Rastelli, giocoliere
A circa dieci anni, dopo aver fallito in vari campi (musica, canto, danza etc.) Romain prova a fare il giocoliere. 
Lanciavo arance, piatti, bottiglie, anche scope, tutto quello che mi capitava sotto mano; il mio bisogno di arte, di perfezione, il mio gusto per l’impresa meravigliosa e unica, insomma la mia sete di successo trovava in quello un umile, ma fervido mezzo d’espressione. Mi sentivo sulla soglia di un regno spettacoloso, verso il quale tendevo con tutto il mio essere: il regno dell’impossibile raggiunto e realizzato. (…) Purtroppo anche lì, mentre mi vedevo già destinato all’avvenire più brillante, in grado di mantenere mia madre nel lusso grazie al mio talento, una realtà brutale a poco a poco s’impadronì di me. Non riuscivo a superare le sei palle. E sì che ho provato, lo sa Dio quanto ho provato!.
A quel tempo mi esercitavo sette o otto ore al giorno. Sentivo confusamente che la posta in gioco era importante, di un’importanza capitale; che mettevo in gioco tutta la mia vita, tutti i miei sogni, tutto il mio essere; che si trattava di raggiungere o meno la perfezione. Ma avevo un bel darmi da fare, la settima palla continuava a sfuggirmi di mano. Il capolavoro restava irraggiungibile, eternamente latente, eternamente presentito, ma sempre fuori portata. (…) Ma l’ultima palla è sempre rimasta al di fuori della mia portata. Mai la mia mano è riuscita ad afferrarla. Ci ho provato tutta la vita. Solo alle soglie della quarantina, dopo aver vagato a lungo in mezzo ai capolavori, si fece strada in me la verità poco a poco, e capii che l’ultima palla non esisteva.
E’ una triste verità e non bisogna rivelarla ai bambini. Ecco perché questo libro non può andare in mano a tutti.
Oggi non mi stupisco perché Paganini buttasse via il violino e restasse per anni senza toccarlo, sdraiato con lo sguardo nel vuoto. Non mi stupisce, lui sapeva.
Quando vedo Malraux, il più grande di tutti noi, giocare con le sue palle come pochi hanno saputo fare prima di lui, il cuore mi si strige di fronte alla sua tragedia che porta scritta in viso anche in mezzo alle sue brillanti affermazioni: l’ultima palla resta fuori postata e tutta la sua opera è imperniata su questa certezza angosciosa.
D’altronde sarebbe tempo di dire la verità sul caso Faust. Tutti hanno mentito spudoratamente in proposito, Goethe più degli altri, con più genio, per camuffare la faccenda e nascondere la dura realtà. E forse non dovrei dire neanche questo, perché se c’è una cosa che non mi piace fare è togliere agli uomini la speranza. Dopotutto la vera tragedia di Faust non è di aver venduto la sua anima al diavolo. La vera tragedia è che non ci sia un diavolo che voglia la sua anima. Non c’è nessuno che la prenda. Nessuno che venga ad aiutarvi a prendere l’ultima palla, qualunque sia il prezzo che siete disposti a pagare. C’è sì tutta una sequela di trafficanti che si danno un sacco di arie e che si dicono disposti a comperare, e non dico che non ci si possa mettere d’accordo con un certo guadagno. Si può. Vi offrono successo, denaro, l’adulazione delle folle. Ma è tempo sprecato, e quando ci si chiama Michelangelo, Goya, Mozart, Tolstoj, Dostoevskij o Malraux, forse si muore con la sensazione di aver fatto dell’artigianato.   Detto questo, io continuo, ben inteso, ad allenarmi.

(da  Romain Gary, La promessa dell'alba, Neri Pozza Editore)

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